Le mie interviste

Le interviste proposte sono state pubblicate sul sito www.slapussavia.com nella mia rubrica “Quattro chiacchiere con…”.

 

Daniela e Davide La Paglia

Raccontatemi un po’ di voi…

Io e Davide stiamo insieme da 21 anni. Sposati da 14 anni, abbiamo due splendide figlie, Ester di 12 anni e Sofia di 8. Ci siamo conosciuti tramite un’amica comune che ci fece da gancio e da quando ci siamo messi insieme non ci siamo mai più separati. Con tanti sacrifici, siamo riusciti a sposarci, lui giocava a calcio e aveva un lavoro da precario, ma stavamo bene, eravamo sereni e felici.

Davide era uno sportivo per eccellenza, oltre a praticare il calcio, si dilettava nel tennis, nel beach volley… Insomma, un atleta dal fisico perfetto. Sano, mai avuto un’influenza, un raffreddore…

Poi a luglio 2008 cominciò a notare i primi sintomi, quel tremolio involontario al braccio destro, le fascicolazioni, che imputammo allo stress… forse aveva esagerato con lo sport. Il medico gli consigliò di riposare e gli prescrisse del potassio. A settembre, poi, le fascicolazioni divennero frequenti come pure la stanchezza alle braccia cominciammo a fare i primi accertamenti.

A dicembre, al Centro Clinico Nemo di Milano la diagnosi: sospetta sla. Il mondo ci crollò addosso. Non sapevo neppure che esistesse questa “bestia” di malattia; anche se su internet, qualche mese prima, avevo dato un’occhiata, ma per me era impossibile si trattasse di sla. Davide è uno sportivo, mi dicevo, non può essere, non ha mai neppure fumato una sigaretta, è astemio, ha sempre condotto una vita sana, regolare. Io e Carmelo, il fratello di Davide, eravamo shockati, non sapevamo come dirglielo. Gradatamente, poi, insieme ai medici, iniziammo a fargli capire di che si trattava.

 

Davide, tu invece, che idee ti eri fatto in quel periodo? Cosa immaginavi?

All’inizio pensavo che mi stessero nascondendo qualcosa e con tutta sincerità immaginavo che si trattasse di un tumore. Però allo stesso tempo i sintomi mi spiazzavano. Capivo che c’era qualcosa che non andava ma mai mi sarei immaginato che fosse la sla. Si parlava di malattia del primo motoneurone ma non avevo la più pallida idea di cosa fosse ed ero convinto che avrei superato tutto e sarei guarito.

 

Poi hai preso coscienza di quanto ti stava accadendo… ma qual è stata la molla che allora e tuttora ti fa combattere contro questa “bestia”?

Le mie figlie, mia moglie, la mia famiglia, gli amici e tutti i conoscenti, mi danno la forza e scatta in me la voglia di vivere. Capita di incontrare persone per strada, che conosco solo di vista, ma che mi conoscono perché giocavo a calcio, mi fermano e si mettono a disposizione. Tutto ciò mi dà conforto e forza per andare avanti.

 

Come genitori, quale è stata la vostra scelta in merito a come comunicare la malattia alle vostre bambine?

Con le bambine sin dall'inizio siamo stati sinceri, abbiamo spiegato loro "la malattia" . Non fingendo, preparandole a tutto quello che la malattia comporta. La più piccola, Sofia (otto anni), non ha proprio ben capito, o se vogliamo non è abbastanza cosciente data l'età. In ogni caso, vivendo insieme come nucleo familiare, condividendo lo stesso dramma, io e Davide riteniamo opportuno non mentire.

 

Come siete entrati in contatto con l'associazione?

Circa un anno fa abbiamo conosciuto Michele La Pusata (ora Presidente Aisla Enna) tramite un amico comune. Lui era già in contatto con Aisla e così pensammo di aprire una sezione dell’associazione. Michele inaugurò la sezione a Barrafranca qualche mese prima di noi.

 

Com’è la situazione nella vostra provincia?

Non è certo ottimale. Purtroppo ci sono tante carenze tipo assistenza infermieristica, tempi di risposta per fornitura ausili troppo lunghi e sappiamo che un malato di sla non può attendere mesi. Fino a qualche mese fa, il comune, inoltre, non eroga più nemmeno tre ore settimanali di assistenza domiciliare.

 

Ho letto però, che seppur dei piccoli passi, qualcosa si sta muovendo in regione, e poi c'è la prossima apertura del Centro Nemo Sud…

Sì, noi abbiamo avuto già alcuni incontri con il Direttore Sanitario di Caltanissetta e anche con una degli altri responsabili dell’Asl. Stanno già provvedendo per Assistenza medico infermieristica domiciliare e a settembre dovrebbero già attivarla. Dunque personale specializzato (medici ed infermieri) della rianimazione che segue il paziente a domicilio nel cambio cannula, peg, prelievi, emogas analisi, ventilazione assistita…

 

Siete al corrente di molti casi in provincia?

Saranno circa 22 casi in provincia, ma non sono dati certi non essendoci dei registri.

 

Quali saranno i vostri prossimi impegni con l'associazione?

Sicuramente parteciperemo alla giornata nazionale della SLA prevista per il 2 ottobre prossimo, con l’allestimento dello stand per la vendita delle bottiglie di vino. Poi a novembre/dicembre ci sarà un concerto con Vincenzo Spampinato e/o qualche altro gruppo locale.

 

A chi volesse conoscere meglio Davide La Paglia e la sua storia consiglio la visione del video presente al seguente link http://blip.tv/tfn/reporter-80-4680393

 

B.M.

Settembre 2011

 

 

 

 

Michele La Pusata

Ciao Michele, ti va di raccontarmi qualcosa di te?

Certo con grande piacere. Ho 45 anni, sono sposato con Stella ormai da 22, abbiamo tre figli, Calogero Daniele e Nadia . Da tre anni e mezzo, stiamo vivendo una nuova esperienza, una convivenza forzata con un’ospite indesiderata che si è intrufolata nella nostra vita. Nonostante la ignoriamo, lei incessantemente e costantemente ci ruba piano piano parte della nostra libertà, della nostra vita fino ad essere lei a dettare i tempi delle nostre giornate.

 

Dunque, la malattia… Come si è presentata quest’ospite inattesa?

Avevo tolto una vena varicosa quando si accorsero di un piccolo problema nervoso al cuore. Ci rivolgemmo a Milano per avere risposte e lì dissero che si trattava di cattiva conduzione nervosa. Informai i medici che avevo fascicolazioni alle cosce e che mi capitava di cadere, era già successo tre volte, ma loro imputarono la cosa all’operazione che avevo subìto. Comunque, mi ricoverarono in neurologia, dove dopo una settimana di esami clinici mi diedero la diagnosi. Il professore ci venne incontro con aria seriosa e invitò me e Stella ad accomodarci nel suo ufficio per parlare. Mi comunicò che c’era un problema serio ma continuava a girarci intorno e così cominciai a fargli domande: “Ho un tumore? Ho la leucemia?” Pensai a quest’ultima perché avevo perso, anni prima, un cugino per leucemia. Rispose di no alle domande ed io ero convinto di aver escluso le patologie più terribili. Mi disse che avevo la malattia del motoneurone. Chiesi se avrei potuto continuare a lavorare, mi rispose, invece, di godermi la famiglia e di divertirmi. Avevo capito che si trattava di una cosa davvero grave e per tastarla feci un’altra domanda: “Se dovessi chiedere un mutuo, quanto può essere la sua durata?” Mi rispose, quindici anni. Non credevo a ciò che stavamo vivendo. Ero ancora debole per l’esame al liquor subìto in ospedale ma chiesi di ritornare subito a casa, non stetti a sentire il consiglio di fermarmi ancora qualche giorno, volevo ritornare a casa in fretta. Ottenni le dimissioni, ma la debolezza del mio fisico fece di quel viaggio da Rozzano a Barrafranca un’odissea. Tornati a casa, io e Stella, decidemmo di non dire ai nostri figli e agli altri ciò che stava succedendo, anche perché nemmeno noi ci rendevamo pienamente conto. Ne parlammo solo con i nostri fratelli.

 

Poi però il vostro approccio con la sla è cambiato…

Sì. L’anno scorso siamo andati al Raduno degli Slaleoni a Firenze. Prima di allora evitavo di incontrare altri malati, anche quando andavo in ospedale per le visite cercavo di non incrociare i loro sguardi, pur cosciente che non tutti quelli che si trovavano lì soffrivano di sla. Con Stella, l’anno scorso accogliemmo l’idea di andare a Firenze e quella è stata la nostra fortuna, la svolta. Ci confrontammo con altri malati e familiari, mi rapportai a chi stava più male di me e tra me e me pensavo in fondo di stare bene. Vedere persone in condizioni peggiori di me che affrontavano la malattia con forza, coraggio e positività è stata la nostra salvezza.

Al ritorno da Firenze, carichi da quella esperienza, ci togliemmo un peso dal cuore e parlammo con i nostri figli che reagirono positivamente rispondendoci che non interessava loro dare un nome alla malattia e che comunque avrebbero fatto ciò che c’era da fare. Non ci saremmo mai perdonati un eventuale errore nell’approccio di questo problema con loro.

Sentimmo così l’esigenza di trasmettere ad altre persone lo stesso coraggio che avevamo ricevuto noi e di impegnarci per un sostegno reale ai malati e ai famigliari. Dico sempre che per noi malati la libertà passa attraverso la limitazione della libertà di chi ci sta accanto…

 

E tutto questo, alla fine, si è concretizzato quando hai deciso di aprire una sezione Aisla a Barrafranca…

Sì. Aisla Enna è nata il 9 ottobre 2010 da questa voglia di fare, di rendersi utile a chi si trova ad intraprendere questo viaggio in modo da renderlo più agevole confrontandoci con istituzioni sanitarie e politiche e ponendoci come mediatori tra quelle che sono le esigenze dei malati e la risposta degli organismi preposti. Un’assistenza attenta deve avere una risposta opportuna al momento opportuno, tenendo conto che la malattia attraversa diversi gradi di ingravescenza ad ognuno dei quali corrispondono esigenze diverse. I tempi della malattia sono differenti da quelli della burocrazia: la battaglia sta in questo, abbreviare i tempi perché la sla non aspetta.

Il mio impegno, però. non si limita a ciò, un obiettivo per me importante è quello di riuscire a trasmettere una visione diversa della malattia, riuscire a disegnare il sorriso sul volto di un malato o di un familiare, questo è in sé qualcosa di grande quando avviene.

 

Qual è la situazione, nella tua Sicilia, dal punto di vista assistenziale?

In tutti questi mesi di attività ho avuto modo di constatare, mio malgrado, la disperazione e lo stato di abbandono in cui versano le famiglie che hanno un malato di sla. Questo è quello che più mi addolora, constatare che la Sicilia è una delle ultime regioni in termini di risposta efficace, anche se, qualcosa sembra muoversi; però in considerazione delle esigenze dei malati ancora non abbiamo avuto una risposta adeguata. Per le istituzioni sanitarie siamo tuttora esclusivamente un costo.

C’è scarsa informazione, non si indirizzano le persone ai centri medici. La diagnosi viene fatta, il più delle volte, in centri del nord d’Italia, mentre i centri medici regionali di riferimento per le malattie rare si limitano, solo, ad inoltrare i piani terapeutici. In sostanza non esiste una presa in carico reale del paziente. In certi casi si nota, inoltre, scarsa sensibilità nei confronti delle esigenze del malato.

Mi sono, purtroppo, accorto che chi dovrebbe darci delle risposte, non ha idea di quello che significa seguire un paziente sla. Ho preso consapevolezza che non siamo in buone mani. L’opera dell’associazione è, pertanto, rivolta a sensibilizzare la provincia, la regione, e tutti gli enti e organi competenti affinché questo stato di cose cambi.

 

Cosa ti aspetti per il futuro tuo e dei tuoi compagni di viaggio?

La mia speranza maggiore è che il ricercatore che prenderà il Nobel per la scoperta della cura per la sla sia già all’opera. Inoltre, spero che, presto, il malato possa vivere degnamente in termini qualitativi tutto il percorso della malattia.

 

Vuoi lasciare un messaggio a chi ti sta leggendo e che magari si trova ad iniziare questo percorso così difficile?

Dobbiamo sempre godere di quello che abbiamo e mai disperarci per quello che perdiamo, gioire, cioè, di ciò che ci rimane. Questo è pensabile grazie all’Amore degli altri senza il quale sarebbe impossibile andare avanti… Non mi vedo come malato, malato lo è chi accetta passivamente la malattia, in quel momento si diventa, veramente, malati. Inferno o paradiso: lo decidiamo noi, siamo noi che facciamo la differenza scegliendo come affrontare la vita e la malattia.

 

B.M.

 

maggio 2011

 

 

 

Vincenzo Soverino

Ciao Vincenzo, raccontaci un pò di te...

Mi chiamo Vincenzo Soverino, sono nato a Guardavalle, un bel paesone in provincia di Catanzaro, nel 1957. Per motivi di lavoro nel 1975 dopo il diploma di congegnatore meccanico mi trasferii a Baldichieri d’Asti dove abito tuttora e dove ho lavorato per trenta anni in un’ azienda metal meccanica con la funzione di capo reparto. Felicemente sposato, padre di un figlio, la mia vita scorreva nella cosiddetta normalità fino ad aprile 2005. Un giorno, mentre lavoravo come al solito, sentii che c’era qualcosa che non andava: avvertivo una grande stanchezza, ingiustificata ed un’oppressione al petto che mi faceva temere un infarto. Mi rivolsi pertanto all’infermeria aziendale e mi portarono in ospedale dove le analisi evidenziarono che il valore del CK era a 2880 quando normalmente dovrebbe oscillare tra i 40 e i 120. Esclusero l’infarto ed ipotizzarono in problema muscolare. La sorte ha voluto che vivessi questa esperienza fin dalla sua prima manifestazione. Anche se non molto corretto, parlo di incubazione della malattia. Non è facile registrare, in tempo reale, un così elevato indice del CK, infatti, scese rapidamente e si attestò tra i 200 e 500. Pertanto mi ricoverarono per 18 giorni. Fecero diverse ipotesi parlarono di diagnosi del canale stretto che bisognava operare, prospettandomi però il rischio di rimanere paralizzato. Quante volte ho pensato che un semplice esame del sangue ti può cambiare la vita in tutti i sensi: molte volte te la salva, altre invece te la complica.

 

A quel punto che hai fatto?  

Cominciarono i viaggi della speranza nei centri neurologici di tutta Italia. Appena sentivamo di un bravo medico, io e mia moglie caricavamo armi e bagagli e partivamo con tanta speranza per poi ritornare a casa con più dubbi di prima. Decisi di rimanere a Torino al centro di neuroscienze delle Molinette, cominciai a fare una serie di esami dei quali fino a quel momento ignoravo l’esistenza. Feci elettromiografie, tac, risonanze magnetiche, esami del sangue e quant’altro, ed  intanto, mentre il tempo passava, la situazione peggiorava: la stanchezza si faceva sentire e la gamba destra che prima era solamente ingrossata mi faceva zoppicare con dei cedimenti sempre più frequenti. Anche lavorare diventava sempre più faticoso. Ormai era passato un anno dai quei primi sintomi e ancora non avevo una diagnosi. C’era il bisogno di fare altri accertamenti e la dottoressa mi disse che necessitava una biopsia per avere certezze. Acconsentii e dopo questo accertamento la dottoressa si sentì pronta a darmi il verdetto: Malattia dei Motoneuroni. Mi ricordo lo sguardo della dottoressa che mi fissava dritto negli occhi e mi diceva che si trattava di una malattia invalidante per la quale non esistevano cure ma voleva, comunque farmi provare con dei cicli di immunoglobuline. Io e mia moglie ci guardammo negli occhi, notai i suoi occhi lucidi, mi prese la mano e me la strinse fino a farmi male, non riuscivo a capire quello che mi stava succedendo, rimasi assente per qualche minuto, e in quegli attimi ho avuto la sensazione di vedere la mia vita passare velocemente come la pellicola di un film che si avvolgeva al contrario. Mi rividi da bambino, mentre mia moglie continuava a stringermi la mano facendomi male: quel dolore mi confermò che quello che stavo vivendo era reale. Credo che il dolore che provai in quel momento non fosse solo un dolore fisico. Mia moglie domandò alla dottoressa se sarei finito su una sedia a rotelle. Era chiaro che stava cercando delle conferme per capire bene se quello che noi fino a quel momento avevamo ipotizzato si sarebbe realizzato e in quali tempi. La dottoressa abbassò lo sguardo e confermò la complessità della malattia ma allo stesso tempo ci disse che l’avremmo affrontata insieme. Notai la tristezza della dottoressa che per un attimo smise i panni ufficiali e diede una carezza sul viso a me e mia moglie.

 

A questo punto qual è stata la tua prima reazione?

Vedere il proprio corpo giorno dopo giorno cambiare, perdere la forza, non riuscire a fare le cose più elementari, cominciare a dipendere dalle altre persone: è come andare in macchina e accorgersi che il volante e i freni non funzionano. La macchina non risponde ai comandi va dove vuole e tu sei impotente, non riesci a controllarla. Quindi avverti il panico, la paura, la rabbia, ecco questa è una delle tante sensazioni che vivo durante la giornata. Ti ritrovi con un corpo anarchico, assalito da fascicolazioni e crampi anche dolorosi che ti ricordano costantemente che sei un malato di Sla e che quello che la tua vita dipende totalmente dagli altri in tutti i sensi. Il problema è che spesso si arriva alla diagnosi .stremati, stanchi, dopo un anno e mezzo di speranze, di aspettative, di illusioni e di tanti soldi spesi. perché quando stai male investi tutti i risparmi che hai per curarti, e questo lo sanno molto bene quelle persone senza scrupoli che approfittano di queste situazioni. Poi guardi i tuoi famigliari tristi, stanchi, con gli occhi sempre lucidi che si sentono soli e abbandonati da tutti, in primis dalle istituzioni  che combattono la burocrazia . sballottati da un ufficio all’altro impiegando giorni per farti riconoscere i tuoi diritti. A volte gli sforzi non danno esito, e non si risolve nulla e questo aumenta ancor di più la sensazione dell’abbandono e della solitudine. La mia depressione si faceva sentire sempre più e continuavo a ripetermi .come mai fosse  successo a me, la prendevo come una punizione divina ma non capivo quale male avessi commesso per meritarmi quello che mi stava accadendo. Poi pensando alla vita pensi che sarebbe bello vivere così da conoscere e vedere crescere i nipotini, anche se non sarei in grado di essere un nonno nel vero senso della parola poiché la malattia pone sulla strada mille rinunce. Una mattina mi alzai particolarmente contento con un pensiero fisso . se fino a quel momento mi lamentavo perché stava succedendo a me Ora la domanda che mi ripetevo era diventata “perché non a me?” , “cos’ho io di così speciale da dover essere immune a questa sofferenza?”. Se Dio mi ha dato questa croce, mi darà anche la forza per portarla, pensai.

 

Hai così trovato il coraggio per andare avanti ed essere di aiuto anche per il prossimo, dico bene?  

Sì esatto. Capii che dentro di me era scattata la molla della convivenza con questa malattia. Contattai l’Associazione Italiana Sclerosi laterale Amiotrofica dando la mia disponibilità ad aprire una sezione ad Asti. L’idea di rappresentare quei malati che non hanno più voce, o che sono allettati senza poter muovere un muscolo mi ha dato e mi dà la forza per andare avanti, mi ha responsabilizzato, mi ha reso un uomo diverso e sicuramente un uomo migliore. Continuo a dire che sono la voce di quei malati che voce non hanno, sono la presenza di quei malati che sono allettati. Attualmente all’interno di Aisla ricopro le cariche di Referente della sezione di Asti, e Consigliere Nazionale facendo parte del consiglio direttivo. Questo mi consente di girare l’Italia, con il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni su questa terribile malattia. Ho avuto l’occasione di conoscere tanti, troppi malati di Sla e di constatare come ci siano delle grosse differenze di trattamento tra malati: addirittura nella stessa regione. Quanti malati che hanno accettato la tracheostomia si sono pentiti perché invece di avere un percorso di vita difficile ma dignitoso si sono trovati a combattere per avere i più elementari dei diritti , si sono sentiti abbandonati da quelle istituzioni che gli dovrebbero garantire il diritto alla vita. Mi trovavo, un giorno, a discutere con un mio compagno di malattia, quando con voce sconsolata mi disse: “Pensa che oltre ad essere malati di sla, malattia infausta, dove la sofferenza ti entra in tutti i pori della pelle, devi avere anche la fortuna di vivere in una regione dove ti viene riconosciuto il diritto alla cura. In questo caso noi nella nostra regione siamo malati di serie B.” Alla base di tutto questo il mio impegno e’ sempre maggiore. Conoscere tanti compagni di malattia sparsi sul territorio nazionale, condividere le loro storie, e magari riuscire a rendergli il percorso di vita un pochino più agevole mi ha reso un uomo diverso e sicuramente migliore..Paradossalmente debbo dire che se non avessi avuto la malattia questo mio cambiamento non sarebbe stato possibile. Per darmi forza mi ripeto costantemente “Se Dio mi ha dato questa croce mi darà la forza per portarla”. Tre anni fa proposi la nascita della giornata nazionale Aisla e tutti gli anni faccio partire da Asti 12 mila bottiglie di Barbera d’Asti. Grazie al grande cuore della Camera di Commercio di Asti, capofila di questa iniziativa dove tutto il ricavato va totalmente alla ricerca, in questi tre anni sono state finanziate diverse sperimentazioni. Quest’anno è stata finanziata la ricerca presentata dall’Istituto Mario Negri di Milano, una ricerca sulle cellule staminali emopoietiche all’esordio della malattia.

 

Ogni tanto si riparla di diritto alla vita e diritto alla dolce morte… 

Spesso questo diritto alla vita è argomento di salotti televisivi, si riempiono pagine e pagine di giornali. Ascoltiamo prese di posizione di una o l’altra parte politica, addirittura di giudizi, nella realtà delle cose assistiamo a tagli continui sulla sanità a discapito di quei malati che hanno deposto la fiducia alle istituzioni e hanno creduto ai politici e le loro promesse. La mancanza di soluzioni pratiche e di risorse di riferimento,nonché di servizi sul territorio fa sì che questa nostra lotta si faccia sempre più ardua e la nostra voglia di vivere rimanga molto spesso inascoltata. Da parte di tutti e difficile che i media ci dedicano grandi spazi televisivi o spazi nei giornali poiché evidentemente la voglia di vivere non fa notizia mentre la voglia di morire raccoglie audience.

 

Come vedi il futuro? 

Da malato credo che la nostra sopravvivenza sia nelle mani dei ricercatori, e debbo dire che in questi ultimi anni c’è un grande impegno da parte della nostra Associazione ad incentivare la ricerca. Sono, pertanto, molto fiducioso. Così come sono fiducioso nel lavoro che tutte le sezioni dell’Aisla stanno facendo sul proprio territorio, aprendo tavoli tecnici regionali e locali per garantire ai nostri malati una presa in carico totale da parte delle istituzioni locali. Come dicevo purtroppo nel nostro paese la sanità funziona a macchia di leopardo e il nostro lavoro consiste appunto nell’unificare l’assistenza e garantire a tutti un percorso di vita dignitoso. Come malato e come volontario il mio augurio è che, con uno sforzo comune, presto possiamo parlare della sla non più come una malattia a prognosi infausta ma sia una delle tante malattie curabili e guaribili.

 

B.M.

 

gennaio 2011

 

 

 

 

 

Gian Luca Fantelli "Il Fante"

Ciao GianLuca, quand’è che GianLuca Fantelli diventa “Il Fante”?

Non ha nulla a che fare con la musica. Io allenavo a calcio a 5 e i giocatori dell’ultima squadra che ho guidato, il Faventia, hanno coniato questo diminutivo che poi ho adottato fin dal primo concerto al Teatro Europauditorium di Bologna, davanti a mille persone. Anche perché il mio cognome lo storpiano tutti, è stata una scelta necessaria che poi ha lasciato il segno.

 

Sulla tua pagina personale di Facebook, trovo scritto: “Il fante, un uomo con la sla, che canta per chi ha bisogno di lui”.

Fa parte della mia filosofia essere a disposizione di chi ha bisogno. Non concepisco l’isolamento e la distinzione in categorie. Vado dove mi chiamano, per la S.L.A., per i bambini o per la lotta contro i tumori del seno (per la komen onlus il prossimo 25/9), non c'è differenza, sono tutte ottime cause e sono fiero di rappresentarle.

 

Da uno stralcio, sulla tua biografia, leggo che il tuo “rapporto” con la sla ha attraversato tre fasi… Poi, però, hai trovato la molla per reagire a tutto questo anche grazie alla musica.

Diciamo che in realtà non so dire come sono uscito dalle prime due fasi, credo si tratti di un “dono” che purtroppo non tutti hanno. Moltissime, troppe persone con la S.L.A. rimangono ancorate alle prime due fasi e io stesso ho impiegato due anni per uscirne. La musica è stata una conseguenza.

 

Due dei tuoi brani, sono veramente un inno alla vita “Io vivo, io vivrò” e “Nessuno alzerà bandiera bianca”…

Sono due canzoni alle quali tengo molto, ma che rappresentano due momenti distinti. IO VIVO IO VIVRO’ è stato il brano che ha dato il via al progetto musicale, è una presa di coscienza, un invito a non sprecare quello che abbiamo e ancora di più un omaggio a mia figlia, che nello specifico rappresenta ciò che ho di più importante. NESSUNO ALZERA’ BANDIERA BIANCA invece è un manifesto, una denuncia, un desiderio. Se fosse per me sarebbe l’inno ufficiale della lotta contro la S.L.A., dovrebbe esplodere nelle orecchie dei politici e di chi fa troppo poco per dare un futuro a tutti noi.

 

Come nasce il progetto  di “io vivrò onlus”?

Nasce dal desiderio di fare qualcosa di concreto per gli altri sapendo con esattezza a chi vanno a finire i soldi e con la libertà di decidere a chi darli. Che poi siano persone con la S.L.A. o bambini svantaggiati non importa, purchè siano utilizzati nella maniera giusta e portino un beneficio concreto. La onlus ha anche un sito che è www.iovivro.org

 

Hai una bimba, Martina, in tenera età, qual è la cosa più importante che vorresti trasmetterle e secondo te, che tipo di mondo, stiamo lasciando alla sua generazione?

Credo che nelle generazioni più giovani ci sia una costante e progressiva emorragia di valori. E’ un argomento molto ampio e delicato che richiederebbe forse uno spazio a parte. Certamente vorrei che mia figlia apprezzasse il valore della vita in tutta la sua interezza, che vivesse il presente senza “rimandare a domani”, con la consapevolezza di chi sa cosa significa perdere qualcosa di importante e riuscire così a darle, serenamente, il valore che merita.

 

So che continui a girare l’Italia, con lo spettacolo “Finchè ho la voce canto”….

Sì, ho iniziato il 4 ottobre 2009 e non mi sono più fermato. Mi piacerebbe toccare tutte le regioni d’Italia, isole comprese, e portare la mia voce e le mie canzoni. Se qualcuno mi chiama, io parto per qualsiasi destinazione.

 

Cosa vorresti dire a tutti coloro che vivono la malattia facendosi travolgere dalla sofferenza e dalla solitudine?

Di andare sul mio sito e navigare per conoscermi meglio, di ascoltare le mie canzoni e trovare al loro interno le mie stesse motivazioni, di venire ai miei concerti dove l’energia pulsa, si respira nell’aria e riempie cuore e polmoni. Ma anche di seguire i tanti amici come voi di “SLA PUSSA VIA”  e altri come ad esempio Luca Pulino, Alberto Damilano, Adriano “Thunder” Stagnaro, Michele Riva, Gian Cavallo e tutti coloro che sicuramente mi sto dimenticando e che mi perdoneranno. Esiste un modo diverso per affrontare la S.L.A., chiudersi in se stessi fa male anche alle persone che ci stanno intorno. Si deve vivere il presente senza essere ossessionati dal futuro e non dimenticare mai che NESSUNO ALZERA’ BANDIERA BIANCA!

 

B.M.

 

novembre 2010

 

 

 

 

 

Paola Benetti

Parlaci un po’ di te, Paola…

Mi chiamo Paola, ho 58 anni, sono nata in un piccolo paese nel comune di Lucca, Nozzano Castello. Dal 1974 sono sposata con Giuseppe, ho due figli, Erika di 35 anni, e Mirko di 24 anni che ancora studia e abita con me.
Seconda di cinque sorelle, la mia infanzia non è stata tanto felice. A 15 anni ho iniziato a lavorare per aiutare la famiglia. Il destino, se si può chiamare così, mi ha fatto incontrare Giuseppe, un ragazzo buono e di sani principi.
 
Com’è cominciata la malattia?
Nel settembre del 2004 cominciai a sentire una strana stanchezza, dopo alcuni esami il medico di famiglia mi disse: “Niente di grave Paola, è solo un pò di anemia. Con una buona cura si risolve tutto.”
Ma il 13 dicembre, la prima caduta, e spesso il piede destro inciampava facendomi cadere. Mia suocera non stava bene e trascurai i miei disturbi per stare dietro a lei.
A maggio del 2005 sotto mia insistenza il medico mi fece la richiesta per il neurologo. Con Giuseppe andai alla visita; ci trovai un giovane medico che dopo una visita e constatato i disturbi mi portò subito a fare la tac alla testa .
Mi congedò dicendo: “Niente di grave, ma per ulteriori accertamenti la devo ricoverare, parlo con il primario e appena si libera un letto la chiamo”.
Passarono dieci giorni ma niente. Dopo diverse telefonate e ancora in attesa del letto si arriva al mattino del 5 giugno: sotto gli occhi di mio marito, mentre salivo in bicicletta la gamba destra cedette.
Cominciarono esami del sangue, che fu mandato a Siena ad analizzare. Poi, elettromiografie, risonanza e puntura lombale.
Dopo otto giorni, una mattina durante il giro dei medici, una mi disse: "Signora dagli esami che abbiamo sembra che sia una malattia degenerativa, aspettiamo il primario poi la dimettiamo".
Mio marito e i miei figli sapevano già di cosa si trattava perché avevano fatto una ricerca su internet.
 
E poi la comunicazione della sentenza…
Il momento più brutto fu quando il primario durante la visita disse, rivolgendosi alla collega: "Questa non ci sono dubbi è sla". Fui dimessa con la prescrizione di vitamine; il primario disse che esisteva un farmaco ma la regione non lo passava. Cominciarono giorni di disperazione per la mia famiglia. Mi portarono anche a Milano ma la diagnosi fu la stessa. Mi prescrissero il rilutek e mi consigliarono di farmi seguire a Pisa poichè erano bravi con i pazienti sla. Sono trascorsi quasi sei anni; devo dire che ho imparato a convivere con questa atroce malattia, mi sforzo per i miei figli e per mio marito, un uomo impagabile, mi accudisce, mi fa tutto.
Ho trovato un neurologo che è sempre disponibile al bisogno, ogni due o tre mesi faccio i controlli da lui. Ci ha sempre indicato dove rivolgerci, per la pensione, per gli ausili; ci ha fatto conoscere l'AISLA e spesso è presente alle riunioni di auto aiuto.
 
Attualmente quali sono le tue condizioni fisiche?
Da due anni ho la peg, da quattro durante la notte faccio la NIV, e ora anche qualche ora durante il giorno, comunico con il Mytobii e sono sulla carrozzina.
 
So che sei in contatto con altri malati…
Sì, da tempo sono iscritta al forum slaitalia dove ho conosciuto tanti compagni di sventura. Uno devo dire che è una persona speciale Luca Pulino, ha un sito internet, (www.leportedellasperanza.it), nel quale ho potuto informarmi meglio sulla sla, ma che al suo interno contiene anche cose piacevoli come le foto dei compleanni e delle divertenti feste a tema che organizza periodicamente.
Ho fatto, inoltre, amicizia con Salvatore Usala detto Tore: un uomo intelligente, coraggioso che lotta per ottenere assistenza e diritti per i malati. Ultimamente è stato molto attaccato riguardo il suo modo di condurre la lotta e questo mi è dispiaciuto. Ho stretto amiciza con Edda, sono andata a trovarla a Firenze in occasione del suo compleanno .
Poi sono in contatto con te, Bonaria, una ragazza unica, potresti essere mia figlia, io ho l'età della tua mamma. Quando mi hai chiesto di scrivere la mia testimonianza per il sito di Guido sono stata contenta, anche perché "sla ... pussa via!" è un bel sito. Ringrazio Guido e te e spero di essere stata di vostro gradimento nel raccontare la mia storia.
 
B.M.
 
settembre 2010

 



Gian Cavallo

Ai primi di maggio, in tutte le librerie liguri, è uscito il tuo nuovo lavoro, “Proviamo, dai” per Sagep Editori. Dopo una raccolta di racconti,  “La Memoria” uscito nel 2009, ritorni al romanzo. Com’è nato?

All'uscita de "La memoria", non pensavo, alla luce della malattia che mi era appena stata diagnosticata, che sarei riuscito a scrivere un'altra cosa, quale che fosse. Poi un evento luttuoso, che ha colpito una mia amica anch'essa ammalata di SLA, mi ha convinto a riprendere a scrivere. Quella dei tre racconti era una incursione temporanea, ma la struttura che prediligo rimane quella del romanzo. Per questo motivo sono tornato alla forma/ struttura  originale.

 

“Proviamo, dai” è la storia di due destini che si incrociano a New York. Due persone, un uomo ed una donna, che convivono con un dolore… Si salveranno a vicenda…

Esatto. Hai detto bene, si tratta di una salvezza reciproca. Ma oltre alle vicende dei due protagonisti, mi stuzzicava molto l'idea di parlare di NY, che è una città che amo e che in effetti costituisce, attraverso la sua descrizione, vista con gli occhi di uno straniero, una delle parti salienti del romanzo.

 

Attraverso Carlo e Asia, i due protagonisti,  racconti la vita… Quella vita che toglie, ma che al momento giusto, a volte, è capace di sorprendere offrendo una seconda possibilità. Sta a noi riconoscerla e coglierla.

Questo è in effetti uno dei motivi per cui l'ambientazione è costruita a NY, che credo sia la sola città al mondo in grado di offrire una seconda possibilità.

 

La scrittura come passione che ha attraversato tutta la tua densa vita. E ora come rifugio, come fonte dalla quale attingere giorno dopo giorno la forza per poter combattere la battaglia più importante della tua vita…

Confermo l'importanza della scrittura, una passione che ho sempre coltivato e mai abbandonato nel corso di una vita trascorsa a fare altro (ero un dirigente di una agenzia marittima). Poi con la pensione, ho pensato fosse, avendo a disposizione il tempo che prima mi mancava, ho pensato di costruire qualcosa di finalmente più articolato e compiuto, incominciando il mio primo romanzo "Uccello migratore". Purtroppo, a distanza di pochi mesi dall'uscita di "Uccello migratore" ho avvertito i primi sintomi della malattia, che personalmente non ho avuto fatica a riconoscere come la peggiore fra tutte, la sla, mentre i medici continuavano a  darmi versioni più tranquillizzanti. A quel punto la scrittura è davvero diventata la mia ancora di salvezza.

 

Questa tua passione, in effetti, si è tramutata in un’arma di battaglia. La memoria prima, i cui ricavati sono andati ad Aisla, e Proviamo dai ora i cui ricavati sono destinati all’associazione Gigi Ghirotti di Genova, servono in qualche modo a sensibilizzare il resto del mondo, troppe volte sordo, alle esigenze dei malati di sla.

Si. SENSIBILIZZARE la gente sul problema SLA o dei disabili in genere è diventata per me una priorità assoluta.   Nelle mie varie presentazioni di entrambi i libri, accade sempre che io "terrorizzi" pur una buona mezz'ora il mio pubblico prima di cominciare a parlare del libro. Inseguire obbiettivi a breve / medio termine è diventata ormai una necessità assoluta. Non oso pensare all'eventualità di un nuovo romanzo, anche se un po’ ci spero, in fondo mai dire mai.

 

Ed allora concludendo questo incontro, auguriamo buona lettura ai tuoi lettori, e buon lavoro a te, con la speranza di poter presto “ritrovarti” in libreria con qualcosa di nuovo.

Per chi volesse contattare Gian Cavallo ricordiamo le coordinate del suo sito web www.giancavallo.it

 

B.M.

 

luglio 2010

 

 

 

Vincenzo Fortunati

Vincenzo, raccontaci un pò di te…

Mi chiamo Vincenzo Fortunati, ho 53 anni e sono nato ad Ancona . La mia vita fino all’età di 30 anni è stata la solita vita di tutti i ragazzi. Ero la pecora nera della famiglia: non mi piaceva studiare, ma, alla fine, riuscii a prendere il diploma di ragioniere programmatore. Poi feci il militare nella Marina Militare. Imbarcato su un dragamine per 18 mesi mi sono, anche, divertito. Avevo solo un cruccio: io e le donne non andavamo d’accordo per un episodio che mi capitò da piccolo. Una bimba all’improvviso mi diede un pizzicotto su un braccio e da lì derivò la mia “apatia” per le donne che comunque superai da solo. Dopo il militare trovai subito lavoro. Non ho mai avuto difficoltà a trovarne uno. Nel corso della mia vita ne ho cambiati 4. Per sei anni feci il venditore delle enciclopedie per la Fabbri Editore. Un giorno mi capitò di scontrarmi con una ragazza che faceva lo stesso mio lavoro. Non avrei mai immaginato che quella ragazza potesse diventare la mia fidanzata. Si chiamava Gaia aveva 22 anni ed io 24, bella come il sole. Mi chiedevo perché avesse voluto me come suo fidanzato visto che mi ritenevo piuttosto brutto. Mi disse: “ Mi sono innamorata dei tuoi occhi azzurri”. Non ci potevo credere, ero al settimo cielo dalla felicità. Trascorremmo 6 anni insieme, ero felice con lei. Era il 1987, avevamo deciso di sposarci a giugno, lei era incinta di mio figlio, ma a marzo un incidente stradale terribile. Il ricordo di quel giorno mi fa piangere ancora. Ero con lei , non potei fare nulla. La vidi attraversare la strada e ad un tratto un auto la prese in pieno trascinandola per 100 metri. Feci quattro giorni all’ospedale insieme a lei che era in coma: non ricordo con precisione quante sigarette fumai, forse 350. Alle 2 di notte del quarto giorno Gaia e mio figlio morivano ed io assieme a loro. Passai un anno di inferno. Non dormivo più, non mangiavo più e non uscivo più di casa. Ero arrivato a pesare 52 Kg. Fortunatamente con l’aiuto di mio fratello Davide e di alcuni specialisti riuscii a venirne fuori. Ripresi a lavorare all’Università Politecnica di Ancona, stavo al servizio fotocopie e, in più, stilavo le guide universitarie. Mi misi a viaggiare sia in Italia che all’estero, Vienna, Parigi e New York . In Italia avevo una tappa fissa: Assisi, città natale di San Francesco, ci andavo in memoria di Gaia che come me era molto devota al Santo.Dalla scomparsa della mia Gaia, mi sono prodigato ad aiutare gli altri, la mia vita era cambiata. Diventai animatore di un gruppo di ragazzi e ragazze down, mi dava una gran gioia vederli giocare. Svolsi questa attività di volontariato fino al 2006. Dal 1995 cambiai lavoro e andai in una cooperativa di servizi sociali. Nel 1997 feci il mio ultimo viaggio, andai a Firenze.

 

Purtroppo ad un certo punto la tua vita cambiò ancora, questa volta per problemi di salute…

Da fine 1997 cominciarono i primi problemi di salute. Le gambe non andavano più. Non sapevo da cosa dipendesse. Poi nel 1999 la prima angiografia e angioplastica alle arterie femorali e seppi che avevo una arteriopatia polidistrettuale bilaterale (io faccio sempre le cose in coppia…..se no che gusto c’è). Nel 2000 mi misero tre protesi alle arterie femorali, tanto per non perdere l’abbonamento all’ospedale. Dal 2000 ad oggi altre otto angioplastiche. Speravo di aver già dato, ma non fu così . Nel 2004, altro ricovero per ipertensione arteriosa che evidenziò, anche, due otturazioni alle carotidi. Nel 2005 e 2006 gli interventi alle carotidi, sempre con la speranza di aver concluso le varie tournèe ospedaliere. Ma sbagliavo di grosso e forse proprio da fine 2006 si risalgono i problemi legati alla sla o almeno ipotizzo.

 

Come si presentò la malattia?

Sentii inizialmente una certa stanchezza agli arti superiori, ma non gli diedi peso. Io sono un tipo che sopporta bene dolori e fastidi vari e questa forza mi è data da Gaia che mi protegge dall’alto dei cieli. Comunque sta di fatto che feci un ricovero di controllo a marzo 2008 e notai un guizzo al muscolo dell’avambraccio sinistro. Premetto che non mi preoccupo mai, ma in quel caso andai a fondo della situazione. Cominciai a fare analisi del sangue e scoprii che un valore, il CPK, era elevato. Al primo momento diedi la colpa alle statine per il colesterolo e le togliemmo per due mesi. I risultati delle analisi peggioravano sempre più. Mi ricoverai in Neurologia e feci tutti gli accertamenti e purtroppo, la diagnosi fu di sla di tipo bulbare. Non sapevo bene cosa fosse la sla e mi documentai. Come seppi cosa mi aspettava mi sembrò di impazzire. Poi, cominciai a realizzare e a poco a poco mi sono abituato a conviverci. Pur sentendomi impotente di fronte a questa malattia la combatto non facendoci caso e stando sempre allegro.

Le mie condizioni attuali sono: fascicolazioni ai quattro arti, disartria, disfagia, insufficienza respiratoria. Praticamente sono sempre seduto eccetto alcuni attimi che uso il deambulatore per spostarmi in casa. Ho da poco la peg, di grande utilità, e uso la niv per poter respirare di notte.

 

So che sei in contatto con tanti amici, grazie al pc… Racconta…

Un giorno mio fratello mi convinse ad entrare su facebook. E da lì cambiò nuovamente la mia vita, conobbi cari amici di sventura. Da quel giorno ho trovato l’amicizia vera quella di cui mi parlava spesso la mia povera Gaia. Grazie a lei e ai miei amici non ho più paura di affrontare questa malattia. Sono disposto a lottare fino in fondo e questa forza la devo soprattutto alla mia adorata Gaia che sapeva di avere un uomo forte ed io non la deluderò mai. Sono convinto che un giorno si riuscirà a trovare una cura. E una esortazione: non sprecate un attimo della vostra vita, vivetela fino in fondo e ad ogni costo. Non mollate mai, ve lo dice un duro. VIVA LA VITA.

 

Attualmente, stai portando avanti due progetti a cui tieni molto…

Si, mi è venuta l’idea di avere un sito tutto mio vedendo i siti dell’amico Luca Pulino e dell’amico Guido Melioli. Però volevo farlo diverso da un sito esclusivamente di informazioni mediche o testimonianze di malati sulla loro malattia. Volevo qualcosa che non facesse pensare solo alla sla, un qualcosa che facesse passare del tempo in allegria, sempre collegato alla nostra malattia, ma che contenga, barzellette, video, musica, foto scelte dai malati stessi ed arricchito da una sezionee dedicata anche ad informazioni varie. Insomma, un sito spensierato nel quale anche chi vive a letto e comunica solo attraverso uno speciale pc, possa trascorrere parte del suo tempo navigandoci. Vedrò come andrà il primo anno di vita del sito, poi si vedrà se ampliarlo oppure cambiare la veste grafica. Chiedo l’impegno di tutti gli ammalati a partecipare con le loro opere. L’indirizzo del mio sito web è http://www.vitadasla.it/ .

Il secondo progetto è sostenuto dal dott. Lagalla di Ancona, mio neurologo della Clinica Neurologica dell’Ospedale Regionale di Torrette di Ancona. In pratica stiamo realizzando un Vademecum dell’ammalato di sla con tutte le varie informazioni utili che verrà distribuito gratuitamente nel Reparto di Neurologia. Inoltre, allegheremo un Notiziario Neurologico riguardante tutte le varie malattie neurologiche e neurodegenerative che sarà fatto circolare in tutto il presidio ospedaliero. Spero in Dio che possa far si che questo progetto vada avanti. Per ora il primo numero ha ottenuto un discreto successo il che ci dà carica per poter portarlo avanti con rinnovato impegno ed entusiasmo.

 

B.M.

 

maggio 2010

 

 

 

 

 

Pierfrancesco Di Masi

Chi è Pierfrancesco Di Masi?

Persona che non ama la vita tranquilla. Il concetto che lo prende è: se si ha si deve dare, se si è si deve saper essere, ovunque. Ciò lo rende dinamico laddove il quotidiano crea fragilità e debolezza. E' spinto soprattutto dal modo con cui la società interpreta la fragilità umana: un ramo secco. Andando controcorrente e spesso a suo danno, Pierfrancesco tende a schierarsi con chi è rimasto indietro e questo lo blocca in qualche scalata di prestigio. Perlomeno quelle di facciata, un pò meno quelle che riguardano la sfera della coscienza. Lui è felice così.

La sua giornata è fatta di sostegno alla fragilità indotta soprattutto da malattie: lavoro e volontariato. Ma guai a togliergli le sue cose imprescindibili : la famiglia (peraltro numerosa con 3 figli) e i suoi hobbies con sport praticato e tifato e la passione per il mare.

 

 

Alcuni sostengono che scienza e fede non vadano molto d’accordo…eppure io sono convinta che sia possibile portare avanti entrambi i discorsi…Come affronti come uomo-medico questo “conflitto”?

Le due realtà si scindono non appena il principio di sacralità della vita viene meno. Se la vita è considerato un bene a proprio uso e disuso, la sua sacralità è acqua corrente. Se la vita viene considerata per come è stata creata (un dono autentico), non potendo liberamente disporne, la si concepisce come un dono di immensa e smisurata bellezza. Solo così si riesce a considerarne pertanto la sua sacralità.

 

 

 

Pierfrancesco, so che sono circa 20 anni che lavori nelle rianimazioni, immagino che sotto i tuoi occhi siano passate tante storie, alcune conclusesi felicemente altre no. Tra queste, ci sono quelle dei malati di sla. Ricordi ancora, la prima volta che incontrasti la sla in reparto?

Certo, era il 1990. Penso che fosse uno dei primi casi dove si progettasse una domiciliazione protetta ed una assistenza a domicilio stabile. Ma allora non esistevano i telefonini per cui l'ansia dei care giver si tagliava solo attraverso accessi frequentissimi. Da allora è cambiato tutto. Oggi in Puglia a Bari, stiamo partendo con l'assistenza dinamica misurata con apposito CPindex (care giver performance index). L'obiettivo è tendere in maniera ossessiva a procedure che migliorino la qualità della vita dei malati SLA. Ma rimane l'amarezza come in Italia si faccia poco per uniformare l'assistenza dei malati SLA. Ho la sensazione che le risorse vengano dirottate secondo logiche politiche e diplomatiche. Non per meritocrazia. E poi si muovono concretamente solo i malati che ne sono coinvolti direttamente. E questo è davvero triste.

 

B.M.

 

gennaio 2010

 

 

 

 

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